Lampi di Cassandra/ Della vita e della morte dei bit

Marco A. L. Calamari
3 min readApr 11, 2023

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(279) — L’eredità digitale dei netizen è una questione di licenze. E il pubblico dominio, qualora le tracce lasciate da ciascuno di noi rimanessero orfane, è l’unica soluzione capace di rendere giustizia.

16 aprile 2013 — Per una volta Cassandra è costretta dichiararsi in disaccordo con l’editoriale dell’ottimo Massimo Mantellini.

La discussione su cosa debba accadere alla parte digitale di una persona quando l’interessato venga a mancare c’è sempre stata, non è una novità dovuta alla nascita delle comunità sociali.

Già nel secolo scorso si erano addirittura creati casi legali per l’accesso a caselle di webmail, la cui password aveva seguito nella tomba l’utente. Richieste in tal senso ai provider coinvolti hanno avuto opposte risoluzioni, e stiamo parlando di una questione tutto sommato relativamente semplice, tra una famiglia ed il suo congiunto scomparso.Il problema quindi, se calato nella legislazione “analogica”, non è semplice né inequivoco.

La proprietà di informazioni pubblicate in forma sociale, per esempio nei newsgroup, non mi risulta abbia mai avuto particolari contestazioni riguardo ad un uso libero, prima e dopo la morte dell’autore.

Che un gigante della Rete come Google si sia posto il problema ed abbia individuato una soluzione è, anche secondo Cassandra, cosa buona e giusta: d’altra parte, anche senza queste nuove possibilità, un utente accorto della Rete poteva, semplicemente utilizzando Creative Commons, GPL o altre licenze software, esprimere chiaramente le sue intenzioni anche per quello che doveva succedere post-mortem ai suoi bit.

Il disaccordo probabilmente insanabile arriva quando si sottintende che la proprietà di un profilo inserito in un walled garden sia sostanzialmente diversa e più degna di precauzioni di questo tipo perché più densa di informazioni personali e/o popolari (e quindi di valore).

Qui non esistono mezze misure, perché altrimenti si rendono indistruttibili ed invalicabili le malefiche pareti dei walled garden: la questione è, e dovrebbe rimanere semplice, strettamente binaria. Due soli casi possibili:

Primo — le informazioni della rete sociale sono (purtroppo) coperte da un EULA che prevede di chi è e sarà la proprietà: in questo caso in realtà non si pone il problema, come non lo si pone se la comunità sociale (perché solo di questo si parla, non nascondiamocelo) fornisce strumenti inequivoci con cui il defunto abbia potuto preventivamente, pubblicamente ed in maniera verificabile esprimere le sue volontà sul destino ultimo della bit che formano la sua personalità digitale;

Secondo — non esiste un EULA e neppure una manifestazione chiara di volontà. In questo caso l’opera sarebbe “orfana” e se cadesse nella trattazione implicita del diritto d’autore sarebbe perduta per sempre per la società nel suo complesso.

In questo caso la posizione è e deve essere unica, semplice ed inequivoca. Le opere (anzi i bit) “orfani” in Rete devono, e sottolineo “devono”, come sempre è stato in Rete, passare nel pubblico dominio. Qualunque altra posizione non può che giovare alla cosiddetta “Proprietà Intellettuale”, che come un cancro rischia di divorare la cultura moderna.

Nessun alibi possibile, nessuna trattativa, nessuna possibilità di mediazione. Rorschach, non abituato alle mezze misure, capirebbe perfettamente questa necessità.

A titolo personale Cassandra ha sempre pensato con piacere alla possibilità che i suoi bit fossero degni di sopravviverle ed essere utili agli altri.

Per questo si è sempre preoccupata di pubblicare sotto le licenze più libere possibili.

Prendetene per favore nota, sperando che serva solo tra parecchi anni.

Originally published at punto-informatico.it.

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Marco A. L. Calamari
Marco A. L. Calamari

Written by Marco A. L. Calamari

Free Software Foundation member, Progetto Winston Smith, convegno e-privacy, Cassandra Crossing, ONIF, MEP mancato del PP-IT, Nabaztag @calamarim@mastodon.uno