Cassandra Crossing/ Ma chi la vuole la privacy?
(7) — Basta una piccola indagine sugli strumenti di difesa della privacy che gli utenti mantengono in rete per rendersi conto della realtà: se ne parla ma non si mette in atto. E Clarke sbarca a Milano.
14 ottobre 2005 — Premetto che questo pezzo sarà un po’ come gli spot di “Carosello” (quello vero, di una volta); una bella storiellina con la pubblicità alla fine.
Ieri ho avuto l’idea di verificare quante sono le persone od enti che fanno qualcosa di pratico per la privacy in Rete. Non mi riferisco ad utenti che gestiscono con diligenza la privacy della loro posta, ad amministratori di sistema che trattano con coscienza i dati loro affidati, né tanto meno ad uffici statali che vigilano sulle misure minime di sicurezza, od a legislatori che sfornano norme che rispettano e tutelano la privacy. Di queste persone non ce ne sono evidentemente abbastanza.
La verifica ha invece riguardato coloro che mettono a disposizione loro risorse (tempo, computer, banda) per rendere disponibili quei server che permettono di tutelare la privacy in Rete. Nella quasi totalità dei casi si tratta di iniziative alla portata dei singoli, purché abbiano una connessione ad Internet quasi permanente ed un po’ di tempo da dedicarvi.
Risultato? Numeri incredibilmente piccoli: c’è quasi da stupirsi che la privacy, seppur per pochi, sia in Rete ancora possibile. Qualche esempio, riferito all’intero pianeta:
- i remailer anonimi Mixmaster (server che consentono di mandare posta senza rivelare l’identità del mittente) sono 45
- i remailer anonimi Mixminion (server sperimentali più avanzati) sono 41
- i gateway verso Freenet (una rete di pubblicazione e lettura anonima di documenti) sono 3, ed i nodi della intera rete sono poche centinaia
- i server di pseudonimi (server che consentono di creare identità virtuali in rete) sono 7, oltretutto spesso malfunzionanti
- i nodi Tor (una rete di proxy per la navigazione web anonima) con una banda bastevole a renderli utili sono 90.
Altre reti di server (Mute, Ant, GNUNet, Dark) sono ancora in gestazione o sono morte senza riuscire ad uscire dallo stato di semplice esperimento.
Non è stato ovviamente possibile scremare questi numeri della frazione, probabilmente molto consistente, di risorse “false” gestite da stati totalitari, polizie, servizi segreti, sette religiose liberticide o semplici rompiscatole, che non sono di utilità ma ovviamente dannose per il funzionamento di questi sistemi.
Ed inoltre, quante persone matematici, informatici, programmatori, scrivono algoritmi e software liberi ed open source per la privacy (e sottolineo il “liberi ed open source!”) ad un livello qualitativo non da dilettanti?
Stima difficile, anche perché qualitativa; un tentativo? Probabilmente tra 10 e 20.
Considerando i 6.200.000.000 di esseri umani (approssimati per difetto) che occupano il pianeta ed i 500.000.000 che più o meno possono accedere alla Rete c’è da meravigliarsi che ancora esistano risorse utilizzabili.
Ma non è questa l’occasione per fare appelli, già tante volte ripetuti pure su queste pagine.
E dove è la pubblicità, allora? Consiste semplicemente in una segnalazione.
Due “guru” della privacy in Rete, cioè due tra le poche persone che hanno sia prodotto che innovato in questo settore, saranno tra pochi giorni contemporaneamente in Italia, nell’ambito di SMAU/e-Academy. Sono state invitate dal Progetto Winston Smith e terranno alcuni seminari avanzati sulle tecnologie per la privacy.
Si tratta di Ian Clarke, “babbo” di Freenet, fondatore dell’omonimo progetto e grande esperto di reti peer-to-peer, e di Nick Mathewson, autore sia di Mixminion che di Tor e probabilmente uno dai massimi ricercatori nel campo della teoria dell’anonimato.
Se il 22 ottobre passate da Milano, perché non andate a sentirli?
Sarebbero sicuramente ore spese bene.
Originally published at punto-informatico.it.
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