Cassandra Crossing/ L’orco elettronico

Marco A. L. Calamari
4 min readNov 4, 2023

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(20)— Mettendo insieme le normative che circondano l’italiano medio, e non solo lui, c’è chi darebbe ragione ai paranoici del complotto. Perché ora dal perseguire i reati veri siamo giunti a sanzionare i reati virtuali.

27 gennaio 2006 — Nella notte di lunedì scorso è stato silenziosamente approvato il DDL 4599 il cui titolo recita:

“Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo INTERNET” (qui in pdf).

Premessa: il reato specifico di cui la legge tratta è completamente estraneo al filo logico ed alle tesi qui esposte, che riguardano invece le fattispecie di reato, i mezzi di contrasto e le ricadute sui diritti civili in Rete.

Una lettura delle prime pagine del DDL è molto utile come attività chiarificatoria, magari iniziando proprio dal titolo. Può essere solo un dettaglio casuale, ma quell’”INTERNET” in tutte maiuscole riassume comunque bene l’atteggiamento che permea tutto il testo della legge e delle relative motivazioni e cioè la demonizzazione della Rete come luogo in cui, essendoci più libertà, è più facile delinquere, ed in cui quindi bisogna trovare nuovi e più efficaci modi per lottare contro i cattivi.

Lottare contro i cattivi senza guardare in faccia a nessuno. Nemmeno agli innocenti.

E visto che la Rete è spesso definita un mondo virtuale, si è evidentemente ritenuto utile inventare anche “reati virtuali”. Si, perché i promotori, estensori, firmatari e votanti della legge ritengono che le immagini reali e le creazioni di fantasia siano oggettivamente equivalenti sotto il profilo penale. Quindi produzione e scambio di immagini reali e produzione e scambio di opere di fantasia, di grafica computerizzata sono equivalenti.

Questi signori hanno appena legiferato che disegnare con un programma di fotoritocco un’immagine che rappresenta un reato equivale a fotografare il reato che, a sua volta, è, in termini di pena, appena meno grave che commettere materialmente il reato. La giustificazione di ciò è la necessità di lottare contro un reato particolarmente odioso di cui sono vittime persone particolarmente indifese.

Seguendo il filo logico di discorsi e di ragionamenti altrui, ci si trova talvolta ad accettare inconsciamente i vincoli ed i limiti della loro visione del mondo, specialmente quando gli argomenti sono particolarmente odiosi e provocano reazioni emotive. Per questo, leggendo il testo della legge si potrebbe correre il rischio di trovarlo ragionevole su questi aspetti.

Certo, arrivando all’ultima parte, che trasforma gli ISP in entità obbligate alla segnalazione di contenuti fuorilegge (e non a fornitori di connettività), quindi in giudici, investigatori e censori, l’impatto sulla Rete diventa più chiaro.

Il tocco finale lo danno l’installazione di filtri sui contenuti “individuati dal Ministro delle Comunicazioni in accordo con il Ministro dell’Innovazione”. Ma non somiglia tanto al Minamore di Orwell?

E’ necessario essere razionali, fare un passo indietro e tornare ai principi fondamentali. Ci sono dei limiti che non si possono varcare, altrimenti qualunque ordinamento civile di diritti e doveri sociali collassa in un universo kafkiano. E facciamolo questo passo indietro, utilizzando un po’ di emotività anche a favore dei diritti civili.

Ma siamo impazziti? Vogliamo proteggere degli innocenti ed invece di dedicarvi maggiori risorse investigative e di sorveglianza, decidiamo di calpestare diritti civili irrinunciabili?

Diritti che sono di tutti. Non di alcuni o di molti, ma di tutti. Di tutti gli innocenti cittadini di un paese e del pianeta. Per difendere (o andreottianamente con la scusa di difendere) alcuni, facciamo polpette della libertà di tutti?

Ma l’”habeas corpus”? Il maggior bene della società nel suo complesso? Dove sono finiti? Non sono argomenti “emotivi” o “popolari” e quindi non meritano attenzione?

E questo proprio nel caso della Rete, dove gli spazi di libertà (abusabile, come tutte le cose del mondo) si aprono di fronte a tutti, anche alle persone ed ai cittadini che dovrebbero godere di quei diritti civili irrinunciabili di cui si parla nella Costituzione Italiana e nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

Ed il fatto che altri ordinamenti, a cominciare da quello statunitense, abbiano introdotto norme e categorie simili a quanto prodotto in Italia non rende meno grave questa barbarie, normativa e civile; la rende solo ancora più preoccupante.

Se poi consideriamo l’introduzione di altre fattispecie di reato “virtuale” (anche di tipo completamente diverso, ad esempio lo studio del funzionamento di sistemi DRM) come tasselli di un mosaico tecnico/legale fatto anche di tecnocontrollo, sorveglianza, data retention, il quadro diventa molto chiaro.

E fa, dovrebbe fare, paura.

A tutti, paranoici e no.

Fine della parte emotiva e conclusioni; nell’opinione di chi scrive, è una legge dettata da convenienza e paura.

Paura degli spazi di libertà che la Rete offre e paura di concedere questa libertà a chi ne avrebbe tutti i diritti.Convenienza elettorale, momento in cui si cerca di ottenere il consenso di persone indifferenti suonando tutte le fanfare, ed in cui si cerca, sfruttando la confusione, di far passare cose che non hanno superato un dibattito parlamentare ragionevole, pubblico e diurno.

Che dire? I nomi dei promotori della legge li trovate qui insieme a molte altre informazioni sul suo iter; se ritenete che ne valga la pena leggeteli e ricordateveli, nel bene o nel male, nel momento di entrare in cabina elettorale.

Originally published at punto-informatico.it.

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Marco A. L. Calamari

Free Software Foundation member, Progetto Winston Smith, convegno e-privacy, Cassandra Crossing, ONIF, MEP mancato del PP-IT, Nabaztag @calamarim@mastodon.uno