Cassandra Crossing/ Le intercettazioni e i marziani
(51) — Girano i fascicoli ma le condanne per chi si sarebbe arricchito alle spalle degli utenti sono ancora lontane. Colpire solo le recenti illegalità, e sbandierare questa come la soluzione, sarebbe un inganno.
27 settembre 2006 — E’ più di una settimana che i media ci propinano dosi massicce di informazione sulla vicenda delle presunte (ancora non c’è una sentenza) intercettazioni “illegali” svolte dal gruppo Tavaroli, Cipriani e C.
Perché “illegali” con le virgolette? Lo vedremo tra poco.
I fatti, almeno quelli resi pubblici, sono ormai noti a tutti; si era creata nel posto più favorevole, cioè dove c’era l’accesso a banche di dati personali (finanziari, telefonici, telematici, giudiziari), un’organizzazione illegale e truffaldina che provvedeva ad usarli ed a cederli a terzi.
Molti di questi dati sono stati impiegati per creare fascicoli su personaggi anche noti o importanti (spesso i personaggi importanti non sono quelli più noti).
Una intera classe politica si è immediatamente stracciata le vesti ed ha approvato in tempi e con compattezza senza precedenti un decreto legge che impone la cancellazione di tutti i fascicoli raccolti “illegalmente” (di nuovo le virgolette!) e stabilisce od inasprisce le pene per coloro che compieranno in futuro simili reati.
Si sente tanto il sapore di grida manzoniane, proviamo a supporre che tale decreto possa funzionare al meglio.
Ipotizziamo anche per un attimo che tutte le informazioni passate in televisione e sui giornali siano vere, e che le intenzioni espresse dai maggiori politici italiani siano totalmente sincere e si realizzino.
Cosa succederà? Verranno distrutte molte migliaia di fascicoli raccolti su persone che avevano ed hanno diritto alla loro privacy. Verranno forse messi in galera alcuni di quelli che l’hanno fatto. I prossimi che lo faranno (se si faranno beccare) potrebbero finire in galera per molto più tempo. E basta.
Ma le occasioni di delinquere? Certo, si è detto anche che le banche dati statali, giudiziarie, di polizia e dei provider sono dei colabrodo e dovranno perciò essere rese impenetrabili e gestite da personale adamantino. Con quali soldi, visto che i tribunali non hanno nemmeno quelli per mettere le serrature agli armadi?
Mah. Persino il Garante della Privacy prof. Francesco Pizzetti si è questa volta fatto sentire a voce alta, minacciando di usare quei poteri che la sua Autorità possiede ma non ha mai in precedenza utilizzato su questa scala, per sanzionare in maniera pesantissima Telecom Italia.
A lui auguriamo la massima fortuna ed il massimo successo nel dare il suo contributo per risolvere questa situazione. Ma le cause prime della perdita di privacy per gli italiani sono forse le scarse protezioni delle banche dati? Sono gli appetiti di chi è passato in pochi anni dalla vita dell’impiegato di banca a quella del proprietario di una villa miliardaria? O è invece il candore di una classe politica formata apparentemente solo da marziani (in senso craxiano) ed indignata oggi per il fenomeno dei “fascicoli” che ha invece da sempre impregnato la politica di tutti i paesi del mondo, passando in tempi recenti dal SIFAR all’occultamento della figlia segreta di Mitterand.
La risposta è evidente: no.
La causa prima della perdita del diritto alla privacy degli italiani è l’esistenza e spesso l’obbligatorietà di enormi ed eterne banche di dati personali.
“Ma come” — diranno alcuni — le banche di dati personali servono, sono utilissime per far funzionare la società e per colpire criminali, pedofili e terroristi, come potremmo farne a meno?”
Facciamo un parallelo: supponiamo che un’industria vitale usi una sostanza tossica che permette di migliorare la qualità dei prodotti e magari di produrli anche a costi più bassi.
La reazione più logica e di vantaggio per tutti non è quella estremista di vietare la sostanza perché tossica, e neppure quella di permetterne un uso indiscriminato per far guadagnare il più possibile.
La reazione logica è di stabilire precauzioni di impiego dove questa sostanza viene sintetizzata, usarla solo dove serve, creare un processo industriale sicuro in cui venga utilizzata, impiegarne la minima quantità necessaria ed alla fine controllarne lo smaltimento e la distruzione in modo che sia effettuato in maniera ecocompatibile.
Questo modo di procedere, banale nel caso di sostanze tossiche, dovrebbe essere applicato anche alla raccolta di dati personali, di quell’Infosmog che tutti disseminiamo nell’ambiente della Rete ed anche fuori. Le banche di dati personali sono utili ma anche molto pericolose perché possono essere usate per attentare ai diritti civili di singoli individui, di gruppi e della società civile nel suo complesso.
Non è una novità, lo facevano già nell’800 ed Orwell ne ha dato un quadro magistrale in “1984”.
Colpire solo gli usi illegali recenti e sbandierare questa come la soluzione del problema è nel migliore dei casi un’ingenuità e, nel peggiore, un inganno deliberato.
La creazione di banche dati personali deve essere autorizzata solo quando necessario e solo per scopi dichiarati e dimostrabilmente utili.
L’uso deve essere circoscritto e regolamentato, ma soprattutto limitato secondo il “principio di necessità”.
Ed ultima, ma più importante cosa, i dati raccolti ed utilizzati devono essere distrutti quando non più necessari.
La loro raccolta e conservazione indiscriminata ed eterna, anche se giustificata dallo sbandieramento di vantaggi tanto eclatanti quanto questionabili e soprattutto non verificabili (più sicurezza per i bambini, meno attentati terroristici) deve essere vietata e questa sì, perseguita con il massimo rigore. La raccolta indiscriminata di dati personali è già vietata dalle leggi dello stato italiano. Le leggi già prescrivono l’uso limitato e la distruzione dei dati personali dopo l’utilizzo.
E’ su questo che il Garante dovrebbe, a parere di chi scrive, profondere il massimo impegno possibile compatibilmente con gli scarsi mezzi di cui l’Autorità che presiede viene dotata.
Ed invece le nuove leggi, le nuove direttive europee ed i nuovi trattati internazionali continuano ad aumentare ed ampliare le raccolte di dati e questo viene come sempre giustificato con le esigenze di polizia e la lotta al terrorismo.
I terroristi vincono non quando fanno saltare in aria persone innocenti: questo per loro è solo un mezzo. Il loro fine è quello di incutere terrore ed ottenere tramite questo i loro veri scopi; in questo contesto storico, attaccare le democrazie occidentali.
Rinunciare ai diritti civili e trasformare le democrazie in stati tecnocontrollati significherebbe farli vincere.
Correre dietro ai colpevoli già messi alla gogna non è importante; importante è prevenire realmente i problemi futuri, e farlo col principio di realismo secondo cui alcuni uomini saranno sempre corrotti o corrompibili ed alcune difese informatiche saranno sempre aggirate od aggirabili.
E questo lo si può fare agendo sulle raccolte illegali nella sostanza (senza virgolette) che non sono i fascicoli di Tavaroli & C, ma sono le raccolte dati rese obbligatorie o tollerate dalle leggi più svariate.
Queste raccolte sono “legali” (tra virgolette) solo perché obbediscono ad una legge (dannosa) ma sono altresì illegali (senza virgolette) perché negano di fatto alla generalità della popolazione quei diritti civili previsti dalla Costituzione e difesi da altre leggi (la 196/2003 ad esempio) come la privacy, la libertà di espressione e la segretezza delle comunicazioni.
Tavaroli & C. in questo contesto sono solo dei dilettanti, dettagli, fumo negli occhi per la maggioranza delle persone, ed il decreto legge che essi hanno ispirato è solo un palliativo.
Ignoriamoli. Ignoriamo tutto questo scandalo ed opponiamoci alla sue cause.
E’ indispensabile opporsi in maniera forte e ragionata alla raccolta indiscriminata di informazioni personali, anche se giustificate da presunti interessi superiori e farlo tramite nuove e semplici leggi che non sarebbero nemmeno difficili da concepire.
Una priorità per il Garante, per i legislatori che vogliano risolvere il problema e, non ultimo, per quei cittadini italiani che desiderino conservare le loro libertà.
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