Cassandra Crossing/ Chi ci crediamo di essere?
(275) — Facce e abitudini diverse per i diversi servizi abbracciati in Rete. Ma l’uomo connesso, nei suoi molteplici stati dell’essere online, è pur sempre un individuo.
22 marzo 2013 — I cittadini della Rete sono talvolta preda di un senso di disorientamento, dovuto probabilmente al vivere nel dinamico confine tra due mondi.
Cassandra può candidamente rassicurare i suoi 24 indefettibili lettori che aumentare la quantità di tempo che si passa nella Rete, persino possedendo un pizzico di dote profetica, non basta assolutamente ad evitare questo disorientamento, ma semmai tende a renderlo ancora maggiore.
Sgombriamo il campo da un possibile equivoco: “passare tempo in Rete” non significa il movimento frequente, coatto e ripetitivo di chi controlla i commenti al suo profilo; non significa nemmeno il continuo aggiornamento dello schermo di uno smartphone alla ricerca di un cinguettio interessante, e men che meno il mazzuolare di continuo e senza pietà qualche povero orco per raccattare monete d’oro in un MMORPG.
No, nel suo significato più elementare e primitivo, “vivere” nella Rete o ai suoi margini significa contare sui suoi servizi, sulle opportunità di comunicazione, sull’accesso alle notizie, alle informazioni più svariate, alle risorse condivise ed alle propria personalità e memoria digitale proprio come se fossero una parte di noi, una parte del nostro corpo e della nostra mente.
“Tutti discorsi fumosi, un altro articolo senza smalto, capo o coda” diranno, forse non a torto, in molti.
Può essere, ma cominciamo a dire che il descrivere se stessi come essere “bifronte” in perenne equilibrio tra due mondi molto diversi non l’ha certo inventato Cassandra.
La suddivisione tra il mondo degli uomini e quello degli dei, ben chiara agli antichi greci, è sempre stata piena di contaminazioni, incroci, interazioni tra uomini e dei; non è anche un esempio di piani diversi di realtà interagenti?
No, non scomoderò qui il grande Philip K. Dick, che tanto ha pensato, letto e scritto riguardo alla relatività del concetto di “realtà”, che per i suoi personaggi è sempre incerta, multipla e mutevole.
E neppure pretendo di anteporre uno scrittore a filosofi e semiologi che da secoli discutono, anche se talvolta solo per addetti ai lavori, di questi argomenti.
Al massimo, ma con molta umiltà, potrei richiamare Robert Louis Stevenson ed i suoi figli Mr. Hyde e dott. Jeckyll.
Potrei tirarli dentro a questa specie di ragionamento come tesi finale, ma non come scontato simbolo dell’eterna dualità tra il bene ed il male, e nemmeno come stanchi attori di un racconto edificante, dimostrazione di una morale ipocrita e vittoriana sempre presente ed attuale.
No, la similitudine che Cassandra trova in più punti nel racconto di Stevenson è proprio quella del disorientamento. Jeckyll, ma anche Hyde, si svegliano ambedue la mattina nel loro familiare letto vittoriano, ma non riescono a rendersi conto immediatamente di chi sono.
Jeckyll/Hyde, o Hyde/Jeckyll a seconda a chi vadano le vostre simpatie, sono pur sempre la stessa persona, anche se in bilico fra due diversi stati dell’essere grazie ad intrugli e pozioni.
E ciascuno dei due, quando è il suo turno, vive, apprezza e descrive in maniera totalmente diversa la realtà della Londra Vittoriana in cui si trova.
Che sia lo stesso per la Rete? L’hacker che passa le notti sfogando la sua passione creativa scrivendo codice, e costruendo un nuovo pezzo della Londra digitale per se stesso e per il resto del mondo, può addormentarsi sulla tastiera e svegliarsi il giorno dopo trasformato nella casalinga di Voghera che aggiorna il suo profilo venti volte al giorno?
O nel cyberterrorista che vuole svuotare la diga su Gotham City?
O nel cybersoldato che vuole difendere i cyber-confini della sua nazione dai “diversi” che abitano al di là di una linea tracciata sulla carta geografica, o al di là di un router che smista pacchetti di cyberspazio?
E comunque in questo caso chi è Jeckyll e chi è Hyde?
Ed è poi importante, o addirittura possibile determinarlo utilizzando una delle tante “normali” morali ben consolidate in grandi gruppi di persone?
Cassandra, non è nemmeno il caso di dirlo, non ha una risposta da proporvi: vi suggerisce solo, se riuscite a trovare il tempo da sottrarre ai vostri gadget preferiti, di scavare un po’ nei vostri pensieri alla ricerca non delle vostre “risposte giuste”, ma delle vostre “domande giuste”.
Sarebbe già un importante parte di un importante viaggio.
Trovare le risposte?
Beh, “…questa — come ammonisce la voce narrante di “Conan il Barbaro” — questa è un’altra storia”.
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